Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte. E neppure in Sila. La vita dei pastori è bellissima.
È la prima volta che mi trovo a dissentire con il sontuoso talento di Corrado Alvaro, il mio scrittore calabrese preferito. La mia è, evidentemente, un’abiura innocua a metà strada fra la boutade e la provocazione. E mi ci arrampico adesso, dopo aver fatto – anzi, dopo aver fatto ancora una volta – la transumanza da una delle tante Marine assolate ai seni verdi e ubertosi della Sila.
Sento ancora i muggiti, i fischi dei vaccari, il sudore che mi si attacca sulla polvere sollevata dai vitelli, l’odore acre dello sterco e della fatica. E, soprattutto, un senso di pacificazione e benessere. Rifletto e poi capisco il perché.
Perché sono calabrese. Perché preferisco la fatica e il cammino. Perché la transumanza è la storia di un’alleanza. Un rito ancestrale. Il lucernario sulle pareti del passato.
La transumanza, però, non è un rosario di umori fra le pieghe dell’avventura. È un compasso di luci in cui si rannicchia la certezza dell’andare. L’uomo e l’animale che condividono luoghi, suggestioni, tratturi. È un rito altare che codifica un’indispensabilità reciproca. Colori, respiri, paesi, torrenti.
La transumanza è una festa bellissima. Come quella che si celebra tra i suoi uomini, alla fine. Un modo per celebrare l’arrivo in alpeggio, i pericoli – sempre dietro l’angolo in un cammino che può durare anche giorni – schivati, gli dèi nel cielo.
È una festa ti porta oltre. Come dice il suo stesso nome. Transumare è andare oltre. Oltre l’humus, oltre la terra. E la transumanza porta sempre oltre. Oltre anche la realtà. Nel mondo della fantasia. E, se vogliamo, nel ventre anche del mito.
Ercole, il semidio figlio di Giove e Alcmena, si dice fosse assai popolare tra le genti italiche del centro sud. Ne sono segni i relitti dei santuari a lui dedicati, come quello di Sulmona. Eracle aveva un grande merito. Non solo accompagnava, ma proteggeva pure le greggi durante la transumanza. Che era e che rimane, allora, una festa. E anche un rito, oggi addirittura custodito dall’Unesco.
La transumanza, però, è soprattutto un pezzo di storia. La storia dell’uomo e dell’animale che è una storia parallela. Non potrebbero camminare da soli.
La transumanza è, infatti, un innesto che dura da secoli. È la vittoria della lealtà che la terra ci consegna, senza chiederci nulla in cambio. È un cammino lungo il quale incontri te stesso, e il tuo contrario. Il sacrificio, e il suo dolore. Il mare e la montagna. La musica, e il suo anelito al cielo.
La libertà, e la sua preghiera.
La Calabria, la sua storia e il suo breviario.