“La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando al suolo.”

Hermann Hesse – Siddharta

Impazzano le notizie sulla nuova candidata DEM Kamala Harris… un nuovo “sprint”, tuona il New York Times, mentre “ridare energia e unità al partito” risponde il Washington Post… Una “ragazzaccia indipendente che punta su donne e minoranze” è invece all’unisono come la presentano i nostri media. Tralasciando l’equivoco sui suoi genitori, dato che la neo candidata si presenta come una esponente di minoranze emarginate, discriminate e oppresse… ma la storia dei genitori (una ricercatrice universitaria indiana discendente dalla casta privilegiata dei bramini; un celebre economista afro-giamaicano) è l’apoteosi di un “american dream” costruito da élite di immigrati qualificati; il contrario dell’attuale ideologia politically correct. La storia dei suoi genitori, e quindi la sua, è segnata dai benefici della meritocrazia non dai danni del razzismo.

Oggi i liberali riacquistano quella verve che il candidato “Sleepy Joe” aveva sopito tra un sonnellino e l’altro, ora i loro sostenitori potranno nuovamente vantare le proprie scelte, mentre dalle loro torri d’avorio, bevendo Charles Heidsieck e spiluccando Imperial Beluga, potranno dispiacersi per la povertà altrui.

Adesso non dovranno più ascoltare chi caratterizzava Biden come un anziano confuso, che saluta amici immaginari e dedito all’hobby di inciampare su qualsiasi ostacolo, esistente e non.

Ormai dopo una sorta di golpe finanziario, un cambio di leader e un attentato che ha fatto il buco all’orecchio all’opposizione, quella chance che “Mister Magoo” potesse vincere non è più cercare un terno giocando solo due numeri.

Ora, mentre Joe potrà dedicarsi ad opere di altro rilievo, come osservare i lavori per strada, i loro analisti, quelli che avevano scongiurato l’ipotesi di dimissione avvalorando invece quelle di Assad e Putin, si trovano costretti a cambiare direzione e far finta che tutto sia una scelta lungimirante, ingoiando malamente l’idea che ad uscire di scena fosse proprio Biden… ah i grandi analisti!

I messia “analfoliberali” sono come i papi e, “addormentato” uno se ne sveglia subito un altro… ed ecco che la vice Kamala Harris riaccende tutto l’entusiasmo degli elettori, che come tifosi prima del rigore decisivo, aspettavano un nuovo fuoriclasse.

Ora che si ricomincia a sognare Trump in prigione, la Siria in mano alle fazioni democratiche e progressiste dell’Isis e il battaglioni SS al Cremlino… possiamo chiudere un occhio se Lady Harris, da procuratore generale della California, infangava le indagini contro i poliziotti che facevano il tiro al piattello contro le minoranze etniche, o che fosse “compagna di merenda” col l’ex segretario al tesoro dell’amministrazione Trump Steven Mnuchin, che la contraccambiava finanziando la sua campagna.

All’epoca l’America viveva la sua prima crisi immobiliare e la nostra nuova eroina “Woke”, con l’aiuto del governo federale e di un certo Donald, si era comprata un “One West”, ovvero una piccola Banca con in pancia una montagna di mutui elargiti senza requisiti per essere ripagati.

A questo punto la Federal Deposit Insurance Corporation commissionava a questa banca importanti risarcimenti per compensare le perdite programmate… ma con una condizione! Che i pignoramenti degli immobili avvenissero secondo regole prestabilite, e dopo innumerevoli denunce per i metodi utilizzati al pari di uno squadrone di incursori, la nostra “nuova candidata” ha pensato di girarsi altrove occupandosi di diritti woke… parsa quasi una scelta distraente.

La Harris, prima Procuratore Distrettuale a San Francisco e poi Generale della California, si è anche occupata della creazione dei grandi monopoli tecnologici, siamo in quel 2008 di fine crisi finanziaria, e Black Rock e Vanguard erano neonate e nella Silicon Valley, appunto in California, si stava creando una fucina di impresa che sarebbe esplosa  di lì a poco.

Questo nuovo e immenso sistema, definito Tecno Feudalesimo dal ministro Greco Gianīs Varoufakīs, si espandeva senza regole e la Harris osservava sorridente senza parlare, anche quando Meta, già possessore di Facebook, si comprava Instagram e poi Whatsapp dando vita alla creazione di uno degli oligopoli più distopici della storia del capitalismo moderno, Harris non vedeva.

Affermava la Harris “Siamo una famiglia” quando le veniva chiesto nel 2013 rivolgendosi ai massimi manager di Google.. e la famiglia si vede nel momento del bisogno, dato che da allora tra i maggior sponsor della prossima “Presidenta” ci sarebbero stati loro, i ricchissimi oligarchi della Silicon Valley… esattamente come successo nelle 24H successive alla sua candidatura.

A proposito dei milioni e milioni di dollari per sostenere la sua campagna, qualcuno si è chiesto da dove arrivino? Ebbene, potremmo citarvi Reid Hoffman, fondatore di PayPal, LinkedIn e OpenAI, al fianco dell’amichetto Peter Teal, l’anarchico capitalista ispiratore e mentore del vice di Trump J.D. Vance.

A questo punto potremmo insinu… pensare che la Harris condivida il 90% dell’ideologia Trumpiana, e che la differenza tra i due candidati risieda su pochi punti oltre che ai gruppi di interesse ai quali dovrebbe rendere immediatamente conto.

Dichiarava nel 2017 che da Bambina, invece di vendere i biscotti dei boys Scout, preferiva cercare offerte per il Fondo Nazionale Ebraico per piantare alberi nello stato di Israele, rendendosi spesso sostenitrice del regine di Apartheid Israeliano per poi disconoscere il tutto per schierarsi, per convenienza, a favore dei palestinesi e di tutte quelle categorie di persone oppresse per qualsiasi motivo, dichiarando alla fine dello stesso anno 2017 che la sua prima risoluzione sponsorizzata da lei, verteva sul combattimento dei pregiudizi Anti-Israeliani, riaffermando quella pace giusta, sicura e sostenibile che solamente gli USA conoscono… nonostante l’anno prima, nel 2016, gli insediamenti Israeliani fossero stati dichiarati una violazione del diritto internazionale… mentre l’anno dopo la Harris propose una risoluzione del reazionario Marco Rubio, che mirava a mettere in discussione quella scelta.

Tratterà di questo Marjorie Cohn, ex presidente della National Lawyers Guild, Associazione di giuristi e avvocati progressisti, dichiarando che la Harris “descrive se stessa come un procuratore progressista, ma il suo curriculum dice tutt’altro”, ricordando “il rifiuto della Harris di consentire il test del DNA per un condannato a morte probabilmente innocente, e la sua ferrea opposizione alla legislazione che avrebbe imposto al procuratore generale di indagare in modo indipendente sulle sparatorie della polizia.”

Un’altra importante dichiarazione arriva da Branko Marcetic, che dichiara che Harris abbia incentrato la sua campagna per l’elezione a procuratore avvalorando la legge molto criticata dei “tre colpi”, che prevede l’ergastolo d’ufficio per chi commette tre reati consecutivi, inoltre si presentò caldeggiando un altro decreto che prevedeva un provvedimento senza reato, vantandosi di aver fatto trarre in arresto per diversi mesi una donna di origine messicana con due lavori, il cui unico difetto era stato di avere un figlio che, a sua insaputa, disertava la scuola.

In un’altra circostanza sempre Marcetic, che ricordiamo essere un giornalista determinante in diversi scandali “made in USA”, dichiara come la Harris avesse rischiato di essere denunciata per oltraggio alla corte per aver resistito ad un ordine del tribunale di rilasciare prigionieri non violenti… un atteggiamento che molti professori di diritto americani avevano  paragonato alla resistenza del sud riguardo gli ordini di desegregazione degli anni 50.

Questa peculiare insensibilità nei confronti di poveri ed emarginati della Harris è inversamente proporzionale alla simpatia che riferisce invece ai ricchi ed ai potenti, infatti nonostante le leggi in vigore all’epoca nello stato della California, la “mortgage fraud strike force” della Harris, ha perseguito un numero esiguo di casi di frode rispetto alle pratiche di pignoramento di altri, molti altri, procuratori distrettuali delle varie contee, che hanno visto spesso le loro relazioni cestinate.

Sempre autorevoli portavoce della cultura politologa statunitense esprimono un parere agghiacciante, che riportiamo interamente a scanso di equivoci:

“Biden e Harris sono essenzialmente lo stesso politico. Entrambi sono stati cronicamente dalla parte sbagliata della storia; entrambi hanno perseguito obiettivi crudeli e reazionari per gran parte della loro carriera al fine di portare  avanti le proprie ambizioni personali; ed entrambi hanno l’abitudine di travisare le proprie convinzioni e i propri precedenti.”

In visione della propria candidatura a vice presidente, e con l’espansione del movimento ”black live matters”, la Harris aveva cercato di ripulire la sua immagine per ergersi a paladina per la lotta contro il presunto razzismo che infesta le forze di polizia, di cui discute apertamente un’inchiesta giornalistica del Daily Post, che con prove alla mano, aveva scoperto che quando la Harris era stata Procuratore Generale della California aveva evitato scientificamente di intestarsi l’indagine sull’assassinio di due uomini disarmati nell’arco di pochissimo tempo da parte di un unico agente di polizia, lasciando l’incarico al procuratore distrettuale di Orange County… peccato che, come ricorda Walker Bragman su Jacobin News, fosse già stato coinvolto in uno scandolo per cattiva condotta e fosse noto per tenere “fuori dai guai” colleghi sotto inchiesta.

Bragman ricorda inoltre che la Harris in persona dichiarava di aver controllato personalmente la documentazione degli uffici di Orange County riguardo i due omicidi, senza che questo poi fosse stato registrato da nessuna parte, e nessuna indagine successiva è riuscita a dimostrare la revisione del caso dichiarata dalla Harris.

L’ufficiale di polizia in questione, Nick Benalagh, è così rimasto in servizio per anni e al suo attivo, oggi, presenta ulteriori uccisioni decisamente sospette.

La propaganda pro oligarchia tecnologica ed economica di Harris è stata definita da Wall Street Journal come “offensiva di fascino” che implica una fittissima agenda di incontri col gota del capitalismo USA, che ha impegnato la Harris giorno e notte almeno da un anno a questa parte, vedendola presenziare ovunque, dalle riunione di Big Farm ai colossi come Visa o American Express, ai Tycoon dei media fino alle imprese tecnologiche della Silicon Valley.

Mentre in Italia, dal foglio al Manifesto risuonano titoli come: “Poco più di 100 giorni e Kamala Harris sarà il 47esimo Presidente degli Stati Uniti” oppure “Harris: non solo una bella speranza, ma uno scenario possibile”… intanto il pensiero Woke prosegue anche grazie a lei, e mentre migliaia di libri vengono ritirati dalle scuole statunitensi, tra i quali cito solamente “il diario di Anne Frank”, si evidenzia come la carenza di strutture analitiche di una società rendano veritiere turbe e rendano normali altre psicosi… e così, il mondo và avanti senza sapere verso dove.